Cinema

VENICE IMMERSIVE | The Man Who Couldn’t Leave: la recensione

Ho sempre avuto grossi dubbi riguardo al cinema di finzione VR a tre gradi di libertà. L’impossibilità di muoversi nello spazio, l’assenza di interazione e la superfluità di immergere lo spettatore in uno spazio a trecentosessanta gradi – come avviene necessariamente nel documentario – mi hanno sempre fatto guardare con sospetto a un tipo di cinema che si limita a svuotare il mezzo della grammatica propria del medium. Con The Man Who Couldn’t Leave, di Chen Singing, mi sono invece dovuto ricredere, assistendo a un’opera commovente, necessaria, e possibile soltanto attraverso la realtà virtuale.

Il racconto si apre dentro alla ricostruzione di una prigione, con un anziano (A-Kuen) che ci racconta quello che ha passato durante il periodo del terrore bianco, nella Taiwan degli anni cinquanta, insieme ai suoi compagni: imprigionati dal governo del Kuomintang in quanto potenziali dissidenti. La storia prosegue poi attraverso una ricostruzione degli eventi cruciali che hanno caratterizzato la vita dell’uomo, e dell’amico A-Ching, giustiziato infine dal governo, senza avere la possibilità di rivedere le persone a lui care.

Un racconto estremamente commovente, sincero e di grande trasporto, che fa luce su un avvenimento lontano dai riflettori dell’occidente, ma che ha portato alla morte di centinaia di persone innocenti, e che oggi è necessario ricordare.

Ciò che più stupisce di The Man Who Couldn’t Leave, oltre alla grande sensibilità con cui viene affrontato il racconto, è la sua formidabile messa in scena. Andando ad avvalorare l’elemento pseudo-fantascientifico della realtà virtuale, Chen Singing riesce a orchestrare una sorta di spettacolo teatrale contemporaneo e dinamico, che immerge completamente lo spettatore nella sua storia, nonostante la mancanza d’interazione e i soli tre gradi di libertà.

Il lavoro sul framing e sulla direzione dello sguardo è davvero eccellente; forse mai visto in un opera live action di finzione in realtà virtuale, andando a costruire via via un proprio linguaggio inedito – e al contempo classico – che rivela tutte le potenzialità del mezzo. Splendido anche il lavoro sull’implementazione dei VFX e della fotogrammetria, che chiudono un cerchio perfetto da cui il cinema VR dello stesso stampo deve necessariamente partire. Un film meraviglioso, che segna un nuovo passo nella ricerca di un linguaggio universale e comprensibile nel contesto del film in realtà virtuale.






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Alessandro Redaelli

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