VENICE IMMERSIVE | Red Tail: la recensione

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La realtà virtuale ci permette di viaggiare lontano, attraverso mondi distanti e mai esistiti. L’esempio perfetto delle potenzialità del cinema d’animazione in realtà virtuale è Red Tail, cortometraggio VR di Wang Fish, che racconta di un ragazzino perso tra le nuvole, alla costante ricerca di una coda rossa: un McGuffin che rappresenta la ricerca costante di un qualcosa, nella fase in cui da adolescenti passiamo  all’età adulta.

Se sul fronte della tematica e del puro racconto Red Tail non convince fino in fondo nella sua esposizione; sul fronte tecnico e artistico l’opera di Wang Fish risulta davvero sublime. Attraverso un gusto che ricalca stilisticamente il passo uno di Henry Selick, e si muove concettualmente nel surrealismo puro di David Lynch; l’immaginario imbastito da Red Tail lascia sbalorditi per coerenza visiva e cura per il dettaglio: un qualcosa che in realtà vituale, e specialmente nel suo cinema, non avevamo davvero mai visto.

Un incubo a occhi aperti, che segue un po’ la struttura di Alice nel paese delle meraviglie, ma che assume poi connotati estremamente personali, decisamente più dark, impossibili da dimenticare. Le immagini di Red Tail, così come il suo framing, il suo lighting e il suo stop motion simulato, sono un qualcosa che cerchiamo da molti anni nel gaming in realtà virtuale, e che – per ora – soltanto un piccolo ma imprescindibile corto è riuscito a portare a compimento. Meraviglioso.

 




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