God of War Ragnarock | la recensione | PS5

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Giocato su Playstation 5

God of War: Ragnarok è esattamente il contrario di quello che mi aspettavo. Sono passati quattro anni dall’uscita del capolavoro di Santa Monica che ha riscritto le basi sia del franchise, che dell’action story based più narrativo. La storia di Kratos e Atreus è stata una di quelle che hanno definito una generazione, una di quelle che gran parte degli utenti Sony hanno giocato e amato, e che chiunque non vedeva l’ora di proseguire in qualche modo. Con l’addio di Cory Barlog alla regia e l’arrivo di Eric Williams a capo del progetto ero sinceramente preoccupato, e oggi – dopo aver concluso la storia principale e una parte delle missioni secondarie – posso dire che le mie paure erano fondate, ma non per i motivi che avevo predetto.

Tre anni dopo gli avvenimenti del capitolo precedente, il Dio della guerra e suo figlio sono ancora alla ricerca delle risposte che li avevano lasciati spiazzati alla fine del loro primo, grande, viaggio. Ma non solo, perché le conseguenze delle loro azioni hanno avuto ben più di un riscontro negativo. Freya – a cui avevano ucciso il figlio – li vuole morti; e Odino e Thor, che si sono ridotti quasi a parodia di sé stessi, tenteranno di tenerli lontani da Asgard, e dalle faccende che non riguardano la mitologia dalla quale tutto ebbe inizio.

Un concept decisamente meno a fuoco del precedente, che proponeva un’identità, una forza e una semplicità encomiabile in funzione del tratteggiare con cura il rapporto tra genitore e figlio. In questo caso i temi si fanno più contemporanei, in un certo senso anche più interessanti nell’esplorazione della dicotomia che regola cambiamento e rassegnazione, rappresentati rispettivamente da Atreus e Kratos. Il loro rapporto è ancora unico e intimo, e si sviluppa in modo intelligente – sebbene un po’ prevedibile – durante l’intero arco narrativo. Arco che, senza troppi giri di parole, tenta di mettere insieme troppe linee e micro-racconti per risultare epopea coesa ed efficace come era la precedente, e che soffre soprattutto di enormi problemi di ritmo, soprattutto durante le prime quindici ore di gioco.

Tolte una manciata di scene efficaci, e un momento meraviglioso che sembra inaspettatamente uscito da Inglorious Basterds, la prima metà di God of War Ragnarok manca totalmente di senso della misura nel pacing e nell’esposizione delle sue storie. Il primo, lunghissimo, atto del nuovo titolo di Santa Monica è oggettivamente lento, manca di una direzione ben precisa, risulta confuso in quello che dovrebbe e vorrebbe fare. Strutturalmente ha anche senso, e non manca di ingaggiare il giocatore con il fascino di alcuni nuovi personaggi, ma è diluito a un livello sinceramente imperdonabile per la sua natura di action game. Quello che Ragnarok fa in quindici ore, ovvero impostare il setup che porta poi alla vera partenza della storia, lo si sarebbe potuto fare in centottanta minuti abbondanti, restituendo il senso di familiarità con racconto e gameplay, per poi passare in agilità all’arco principale del racconto.

In questo caso, tutta la prima metà dell’avventura si muove su territori compassati, diluiti e a volte insostenibili rispetto non solo a God of War, ma soprattutto al “Ragnarok” che questo capitolo porta nel titolo. Esattamente l’opposto di quello che credevo mi sarei trovato di fronte; almeno sul fronte narrativo.

God of War Ragnarok è un capitolo in perfetta continuità con quello che è venuto prima di lui, letteralmente da tutti i punti di vista. Una volta rincominciato il viaggio del Dio della guerra e di suo figlio, ci ritroveremo decisamente a casa in termini di gameplay, immaginario e level design; forse addirittura anche troppo. Dopo qualche ora in compagnia di Ragnarok avrete quasi la sensazione di aver già giocato, quattro anni fa, lo stesso gioco, tanto che la scelta risulta chiaramente voluta. Un po’ come la Parte II di The Last of Us, questo God of War non vuole segnare in corso d’opera una divisione netta e decisa col passato, ma vuole anzi andare ad arricchire quello che già funzionava in termini di meccaniche, e a modificare alcuni piccoli elementi strutturali.

Il più palese fin da subito è l’impostazione dell’open world. God of War a un certo punto si apriva, e ti lasciava la possibilità di esplorare liberamente il mondo di gioco prima di proseguire con la linea principale. Qua accade lo stesso, ma la sensazione è quella che le missioni secondarie siano un po’ imposte da una parte, e davvero troppo numerose dall’altra. La percezione di esser di fronte a un tacchino ripieno alla Assassin’s Creed a un certo punto è piuttosto infastidente, tanto che probabilmente un po’ tutti decideranno di relegare le questioni secondarie all’endgame, una volta finita l’avventura. C’è da dire che molte missioni secondarie risultano davvero valide e, soprattutto nella prima metà, anche più interessanti e coinvolgenti di quelle principali. È la struttura ad essere strana, e a confondere fin troppo le acque rispetto a quello che avrebbe senso fare, e quello che avrebbe avuto senso lasciarsi da parte.

Al di là dei soliti momenti d’esplorazione meravigliosi, della scalata, della barca e della mobilità più in generale, quello che vi farà ricordare più di tutto perché vi siete innamorati di God of War è il suo combat system. Menare le mani in Ragnarok è così bello che sei il gioco fosse stato anche solo un action a ondate in arene circolari mi sarei divertito lo stesso. La velocità, il cambio d’arma, il parry e le schivate sono solo una piccola parte degli elementi legati al combattimento in Ragnarok, che in questo caso si arricchiscono anche di svariate mosse speciali, potenziamenti e modificatori legati alle skill. Torna, a tal proposito, anche l’elemento più RPG che contraddistingueva la ripartenza, grazie all’unlock di combo e mosse, e alla possibilità di vestire e armare i nostri protagonisti con vesti e accessori personalizzabili e potenziabili. Forse c’è addirittura un po’ troppo nel sistema di combattimento di Ragnarok, tanto che a volte potreste andare un po’ in confusione tra la miriade di scelte offensive che andrete ad accumulare, ma il feedback è davvero eccellente, e su questo è davvero difficile lamentarsi.

L’elemento che va a tracciare maggiormente una linea di divisione col passato è quindi un altro: il punto di vista.

Attenzione, se non volete nemmeno mezzo spoiler su quello che ha da offrire il gioco vi consiglio di fermarvi qui con la lettura, se invece volete sapere cos’è Ragnarok, e quindi capire anche una delle sue meccaniche principali più importanti, proseguite serenamente.

Se fino a oggi avevamo sempre e soltanto controllato Kratos, God of War Ragnarok è diviso quasi a metà tra fasi nei panni del famigerato Dio della guerra, e fasi in cui controlliamo il figlio Atreus. Fin dalle prime ore di gioco infatti, la narrativa andrà a dividere in due percorsi ben distinti il viaggio del padre e il percorso del figlio, che saremo costretti a interpretare a sprazzi per una grossa fetta dell’avventura. Atreus, contrariamente a Kratos, utilizza l’attacco ranged legato all’arco e, grazie a uno stun più deciso rispetto all’altro personaggio, ci permette di utilizzare le finisher con più dinamismo e velocità rispetto a un tempo. È un combat system diverso, non sempre perfetto come l’originale, ma sicuramente in grado di restituire un flow inedito, che migliora andando avanti nel gioco e che ci permette di vivere God of War da un altro punto di vista. Peccato per la meccanica legata alla rabbia, gestita in modo molto più approssimativo rispetto a quello che avrebbe permesso di fare il racconto.

Ed è proprio l’approssimazione di alcuni elementi che mi hanno fatto storcere il naso più di tutto. Al di là del ritmo del racconto, la regia si dimostra decisamente sottotono rispetto all’originale, e lì dove Barlog sarebbe riuscito forse a rendere interessanti anche i passaggi più monocorde, Williams si limita a imitare – in modo a volte un po’ goffo – lo stile del predecessore. Il piano sequenza, ad esempio, che regolava la messa in scena di tutto il racconto in God of War, è qui decisamente forzato, e impone passaggi stilistici improbabili e sinceramente discutibili. Ecco quindi che – per la necessità di non staccare mai – quando la linea si troverà a dover passare da un personaggio all’altro in due luoghi differenti, la camera andrà a posarsi su un muro, per poi girarsi nuovamente e scoprire l’altro protagonista. Una soluzione veramente di grana grossa, che si contrappone invece ad alcuni momenti davvero efficaci, che tengono comunque mediamente alto il livello, ma non stupiscono di certo per sensibilità.

Tecnicamente Ragnarok ci restituisce un colpo d’occhio eccezionale, com’era d’altronde nel primo capitolo, ma risulta infine meno convincente a causa di due elementi fondamentali. Il primo è che anche qui assistiamo a un’approssimazione di alcuni elementi – figli della natura cross-generazionale del prodotto – che sembrano usciti da un altro gioco in quanto a complessità poligonale e animazioni. Parlo dei personaggi secondari a cui non viene dato troppo spazio, ma che sporcano comunque un elemento tecnico di alto profilo. E poi qualche texture visibilmente in bassa risoluzione, affiancata magari a un’altra che presenta dieci volte la quantità di dettagli. Insomma, è la pulizia generale che lascia un po’ a desiderare, a fronte comunque di un impatto decisamente sopra la media. Il secondo elemento che va a rovinare un po’ la tecnica è invece – paradossalmente – l’estetica di alcune nuove ambientazioni. Al freddo nordico del precedente capitolo, Ragnarok affianca alcune ambientazioni di diversa natura: tra boschi incantati e isole soleggiate. Non tutte, ahimé, funzionano nell’immaginario e nell’estetica, tanto che quando Ragnarok cerca di avvicinarsi con più insistenza agli elementi da fantasy classico risulta quasi respingente, andando a perdere un po’ di personalità rispetto a quello che è sempre stato.

Non fraintendetemi: i difetti di God of War Ragnarok bruciano così tanto soltanto in relazione all’eredità che il franchise si porta dietro, ma il contesto rimane comunque quello di un prodotto di valore.

Vi ho parlato fino ad adesso della prima metà del gioco, quella più problematica, prolissa, strutturalmente inconsistente. Ma il resto? Il resto è, con tutti i limiti d’altro tipo descritti prima, davvero molto buono. Quando la narrativa inizia a prendere la piega che doveva fin dall’inizio, il gioco si apre e diventa più avvincente, divertente, interessante. La storia inizia a seguire un percorso per cui non vediamo l’ora di vedere cosa succederà durante l’atto successivo, e il gameplay inizia a sprigionare tutte le sue potenzialità. Anche perché, paradossalmente, durante la prima metà di God of War si gioca poco e si parla tanto, mentre quando God of War diventa God of War, gli scontri restituiscono tutta l’adrenalina dei migliori capitoli della saga. In tal senso le boss fight di Ragnarok sono decisamente più varie e originali del capitolo precedente; spesso capaci di farci correre il cuore a mille mentre stiamo affrontando questo o quell’altro nemico, e in grado di darci una soddisfazione unica una volta portate a termine. Se Ragnarok fosse stato come God of War 3 – tutto boss fight e baccano dal minuto zero – sarebbe potuto salire in top tre dei miei capitoli preferiti della saga.

La svolta finale arriva poi con un terzo atto clamoroso, che corona un po’ tutto quello che volevamo da un episodio che va a chiudere (forse) il capitolo norreno della saga di Kratos: davvero tra gli atti finali più belli a cui ho assistito recentemente in un videogioco.

Dopo circa quaranta ore tra principale e qualche secondaria, non è detto che Ragnarok vi restituisca la voglia di continuare a esplorare il mondo di gioco. E invece, una volta conclusa l’urgenza della main quest, potreste sentire il bisogno di tornare sui vostri passi, esplorare tutto quello che vi siete lasciati indietro, andare a scoprire addirittura meccaniche che non avevate ancora toccato. L’estensione di Ragnarok è strabordante quando si parla di main quest, ma diventa intelligente nel contesto dell’endgame. Quest’ultimo risulta quasi una lettera d’amore al franchise, andando a suggerirvi che no, non è finita qui: a prescindere dagli avvenimenti della storia, i nostri compagni di viaggio rimarranno con noi ancora per molto, fino a quanto non sentiremo personalmente l’esigenza di salutarli.

God of War Ragnarok è un titolo che ha dentro sia cose meravigliose, che elementi imperfetti; momenti estremamente esaltanti, accompagnati da sezioni sinceramente noiose. Un titolo che soffre della mancanza di una direzione univoca e autorale com’era il capitolo precedente, ma che va anche ad arricchire i suoi elementi più forti, restituendoci comunque la degna conclusione norrena di un franchise che è stato e rimarrà sempre nel cuore di molti videogiocatori. Da Ragnarok mi aspettavo sinceramente qualcosa di più, ma quello che riesce a fare con i suoi momenti più alti è un qualcosa che rimarrà con me – e con la storia del videogioco – probabilmente per sempre.

God of War Ragnarok è disponibile dall’8 novembre 2022 al prezzo di 69,99€ su Playstation 5 e Playstation 4.

 

 




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