Daedalus: la recensione (Quest)

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Giocato su Oculus Quest 2

Dico sempre che la grafica, in un videogioco, conta relativamente. Questo perché spesso la componente tecnica risulta una semplice cornice; un impacchettamento atto a farci sorvolare sugli elementi davvero importanti di un videogioco; che siano game design, narrativa o feeling di questo o quell’altro elemento ludico. Ci sono dei rari casi in cui, però, la forma si fa contenuto, e l’impatto tecnico restituisce, al pari degli altri elementi, quel quid fondamentale alla riuscita di un prodotto nel grande insieme delle cose. In Daedalus, prodotto e distribuito dai genietti di Vertical Robot, questo è quello che succede, poiché l’impatto emotivo che contraddistingue l’opera è dato sia dal suo gameplay che dal suo impatto estetico.

Esordio dello studio che darà poi vita all’indimenticabile Red Matter, Daedalus è stato il primo esperimento VR degli sviluppatori spagnoli all’epoca dell’ormai dimenticato Oculus Go. Già ai tempi, il prodotto risultava una delle perle più preziose del parco giochi del primo, vero, standalone di casa Facebook, e torna oggi in pompa magna sui nostri Oculus Quest con una sorta di remastered che ne arricchisce il gameplay e l’elemento formale, lasciando però invariata la forma.

In Daedalus interpretiamo proprio Dedalo, intento a rivivere attraverso i propri sogni gli intricati labirinti cretesi di cui re Minos vuole eliminare ogni traccia. Sebbene il tutto sia raccontato da un semplice cartello all’inizio dell’avventura, il tono che si respira all’interno dell’opera riesce miracolosamente a farci sentire la ricerca della libertà di Dedalo, tanto quanto la sua necessità di ricordare qualcosa di molto più grande di lui, e che ha bisogno di vivere e rivivere costantemente. È una sensazione difficile da raccontare, ma vi assicuro che, tanto quanto le grandi opere che hanno contraddistinto il mercato della realtà virtuale recente, il prodotto di Vertical Robot riesce nella mirabolante impresa di presentarci l’arte alta attraverso un “semplice” puzzle game, e scusate se è poco.

Quello che dovremo fare è molto semplice. Attraverso un utensile che ci permette di eseguire dei brevi sprint in ogni direzione, dovremo esplorare i livelli di difficoltà crescente proposti nella campagna, azionare tre interruttori nascosti e scappare da ogni singolo labirinto. Vengono definiti labirinti, ma si tratta più di mappe strutturate orizzontalmente e verticalmente, che nascondono tasti che azionano piattaforme, passaggi segreti e venti imponenti che aiuteranno od ostruiranno il nostro cammino.

Ed è proprio qui che Daedalus si mostra in tutto il suo grandioso splendore, offrendoci una ventina di mondi dall’impatto sontuoso ed irresistibile. Sebbene il gameplay non risulti – di per sé – nulla di particolarmente originale, l’affiancamento ad un impatto formale così strabiliante rende Daedalus un’esperienza realmente indimenticabile, tanto che ci sembrerà di vivere un sogno ad occhi aperti; connubio tra Picasso ed Escher; memorabile da ogni punto di vista.

Il lavoro fatto per restituire un impatto fotorealistico su Oculus Quest 2 ha quasi del miracoloso, ed è comprensibile in virtù del fatto che è solo e soltanto l’ambientazione ad esser vera protagonista del mondo di gioco. Sarebbe tuttavia immorale non ammettere che Daedalus è l’esperienza puramente visiva più impressionante che abbiamo mai visto su un caschetto standalone, e che sta addirittura sopra a molti prodotti tripla A del mercato PC contemporaneo e non.

Ma quindi cos’ha di tanto speciale Daedalus? La grafica? La direzione artistica? Il gameplay? Sono sincero, non lo so. Quando ci si trova di fronte ad opere che ti arricchiscono in quanto essere umano è davvero difficile, forse impossibile, definire quali sono esattamente gli elementi che rendono un’opera semplicemente maestosa; e se mi era risultato difficile già ai tempi di Paper Beast, immaginate quanto debba essere frustrante farlo con un titolo il cui core gameplay si racconta in letteralmente tre parole. Posso solo chiedervi di fidarvi, e di farvi abbracciare da una delle esperienze più suggestive che la realtà virtuale è stata in grado di regalarci fino ad oggi, costi quel che costi.

C’è da dire che se non siete particolarmente sensibili ad un tipo di prodotto che ha la pretesa di fare “arte” difficilmente potrete apprezzare un prodotto come Daedalus. Così come nel sopracitato prodotto di Pixel Reef, l’opera in questione necessita che l’utente abbia gli strumenti intellettuali ed emotivi per farsi apprezzare: pena, la noia più assoluta.

Mi sono chiesto anche se Daedalus fosse effettivamente un capolavoro, e la risposta è quasi. Nonostante sia tutto meraviglioso, al prodotto di Vertical Robot manca una cosa ed una soltanto: uno sforzo maggiore sull’elemento narrativo. Come anticipato, il concept del racconto vi verrà presentato soltanto attraverso una schermata di testo all’inizio dell’avventura, e sebbene lo stesso riecheggi più volte nella mente del giocatore strada facendo, si sente oggettivamente la necessità di una narrativa – quantomeno ambientale – più marcata. Questa invece si fa troppo eterea anche per un prodotto come questo, che rimane comunque una pietra miliare del genere, che non finisce di peso nell’olimpo del perfect score soltanto a causa di questa sua piccola, grande, mancanza.

Daedalus è, paradossalmente, disponibile soltanto su App Lab, e dovrete quindi accedere alla pagina del prodotto arrivandoci da un link esterno, come sempre succede per i titoli che vengono distribuiti su Oculus Quest attraverso il suo store “alternativo”. Tuttavia non disperate! Come sempre, se il gioco verrà poi spostato sullo store ufficiale, manterrete la licenza già acquistato, ed il prodotto rimarrà in ogni caso nella vostra libreria. Scelta – in ogni caso – delirante, come è delirante un prezzo di cinque euro, per assistere ad una delle esperienze più importanti della realtà virtuale contemporanea.

Daedalus è disponibile su Oculus Go dall’11 Maggio 2017 e dal 23 Marzo 2021 su Oculus Quest al prezzo di 4,99€.

 

 




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