Wilson’s Heart: la recensione

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Ci svegliamo nella notte da un sonno profondo, ammanettati a una parete di quello che, a una prima occhiata, sembra un ospedale abbandonato. Ci leviamo le catene e ci guardiamo intorno, nessuno è nei paraggi. Osservandoci per la prima volta allo specchio notiamo la camicetta e due ventose attaccate in testa. Siamo chiaramente un paziente della struttura. Sbuchiamo nella hall, l’atmosfera è tesa, come se fosse appena successo qualcosa di terribile. Il telefono squilla. Quando rispondiamo le nostre certezze sulla realtà vengono scardinate e capiamo che nulla sarà più come prima.

L’esordio di Twisted Pixel Games nel mondo della VR è un titolo curioso ed elegante, che si discosta fortemente dai giochi sviluppati in precedenza dalla software house texana e che la trascina finalmente, dopo quasi un decennio dalla sua fondazione, in una fascia qualitativa che nell’attuale mercato VR ha davvero pochi eguali. Wilson’s Heart è ciò che possiamo tranquillamente definire un’avventura grafica moderna; l’ennesimo passo in avanti fatto dal genere, che dopo il restyling di Telltale Games sembrava nuovamente ancorato a degli stilemi immobili che iniziavano a farsi ripetitivi, ma che avrebbero potuto facilmente stanziare per qualche anno ancora. Invece, grazie a Bill Muehl e Josh Bear (producer e director del gioco), il genere prende una nuova forma, catapultando l’utente letteralmente nei panni del protagonista e trasformando le classiche sezioni a enigmi dei punta e clicca in qualcosa di molto più immersivo e originale.
Il protagonista di Wilson’s Heart è Robert Wilson – interpretato dal buon Peter Weller – un uomo di mezza età che, come accennato nell’introduzione, si sveglia all’interno di un vecchio ospedale distrutto. Cercando delle risposte, Wilson si imbatterà in un gruppo di personaggi bizzarri tra cui il chirurgo Bela (Alfred Molina), la femme fatale Elsa (Rosario Dawson), il licantropo Kurt (Michael B. Jordan) e un’innocente bambina di nome Lucy. Insieme ai suoi nuovi compagni, il protagonista cercherà di scoprire la verità dietro al complesso; il quale, manifestandosi tramite mostri di varia natura, tenterà in tutti in modi di tenerli chiusi al suo interno.

Nonostante il tedio che spesso si cela dietro al genere se non supportato da una scrittura adeguata – come succede in molti titoli Telltale e prima ancora nei classici Lucas Arts – è evidente come gli sviluppatori si siano sforzati di dare una forte varietà al titolo, scandendo in modo molto personale i vari capitoli dell’avventura. Ecco quindi che dopo le fasi esplorative arrivano gli enigmi, dopo gli enigmi le bossfight, dopo le bossfight i momenti più prettamente cinematografici che approfondiscono la narrazione. Tutti questi aspetti, comuni a molte produzioni del genere, variano però fortemente di sezione in sezione, spesso stupendo per la sorprendente capacità di cambiare inaspettatamente le carte in tavola. Ci capiterà ad esempio di trovare una bottiglia di liquore sotto alla scrivania di un inserviente, per poi svuotarla sopra un carrello pieno di materassi e, dandogli fuoco, farci spazio tra le ombre; o ancora, combattere contro dei manichini viventi che hanno sostituito i loro arti con i nostri, rendendoci impossibile svolgere alcune operazioni che fino a quel momento davamo per scontate. Tutte situazioni dallo sviluppo più o meno classico, ma che grazie a un intelligente utilizzo della VR e dei controller di movimento assumono una forma totalmente nuova e irresistibile, tanto che comprare una merendina in un distributore automatico ci sembrerà un’operazione tanto immediata quanto eclatante.

Il grosso limite di tutto questo è però rappresentato dal sistema di locomotion, che non si affida né al free movement di Onward, né al teletrasporto di Arizona Sunshine.
Per muoversi, in Wilson’s Heart, si dovrà puntare il braccio verso delle rappresentazioni incorporee del protagonista, posizionato nei punti delle stanze in cui è effettivamente possibile interagire con qualcosa. Le varie rappresentazioni di Wilson sono inoltre modellate in maniera molto specifica, tentando di anticipare ciò che ci troveremo di fronte una volta giunti a destinazione. Una volta eseguite tutte le operazioni possibili, il fantasma di Wilson diventerà più scuro, avvisandoci di passare alla sezione successiva. La scelta è comprensibile, poiché in realtà si adatta dignitosamente al genere e aiuta notevolmente la comprensione degli enigmi, ma il rischio di trovarsi di fronte a una trovata nata vecchia, che entrerà in disuso nel prossimo futuro, è tangibile.

In Wilson’s Heart non tutte le fasi di gioco funzionano come altre, soprattutto nella seconda metà, quando le abilità intrise nel cuore meccanico di Wilson (la possibilità di accendere luci, il movimento degli oggetti a distanza, e altre trovate curiose) prenderanno il sopravvento sugli enigmi ambientali più puramente convenzionali. Ed è proprio in questi momenti che i rompicapi perdono di immediatezza, diventando a tratti vittima di meccaniche trial and error che non si amalgamano particolarmente al resto del gameplay.

Per quanto riguarda l’aspetto artistico, l’atmosfera e l’estetica sono tra gli aspetti più riusciti di Wilson’s Heart, grazie ad uno splendido bianco e nero che omaggia il cinema di genere dell’epoca classica, in particolare quello Universal nato nel 1931 con il “Dracula” di Browning, per passare dal “Frankenstein” di Whale e arrivare a “Il mostro della laguna nera“. Le citazioni sono palesi, forse un po’ insistite, ma mai al punto da risultare gratuite nell’economia del racconto, anche grazie all’amore sincero che traspare per il grandi classici. Ciò che funziona meno è lo script vero e proprio, che se nelle prime fasi di gioco riesce a costruire la tensione con intelligenza, caricando le attese, l’ultimo atto finisce inevitabilmente per strabordare nella fiera del nonsense, con una conclusione affrettata che funziona poco sia a livello narrativo che come meccaniche di gioco.

Facendo la somma di pregi e difetti Wilson’s Heart risulta comunque un prodotto estremamente valido, che anche grazie alla sua longevità sopra la media (circa cinque ore) riesce ad stupire e appassionare come pochi altri titoli sono riusciti a fare ad nell’ambito delle avventure VR.

Il tutto ha chiaramente limiti e difetti ben visibili, a partire da una narrativa che poteva certamente dare di più, per passare a fasi trial and error che fanno perdere immediatezza al tutto; ma l’atmosfera magica, i personaggi curiosi e alcuni momenti geniali e genuinamente spaventosi ci fanno benevolmente perdonare tutto ciò che i ragazzi di Twisted Pixel Games non sono, ancora, riusciti a raggiungere.

Wilson’s Heart è disponibile dal 23 Aprile 2017, esclusivamente su Oculus Store.

 




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6 COMMENTS

  1. Gioco a mio avviso bellissimo, insieme a robo recall è quello che mi ha lasciato con la voglia di rigiocarlo una volta finito.
    È nella mia top five, spero sempre nell’inserimento del doppiaggio italiano…. manca solo quello.

    • Sono d’accordo, una localizzazione aiuterebbe di molto l’immersione per chi non è particolarmente ferrato con l’inglese, ma è anche vero che in lingua originale hanno puntato su attori di un certo spessore, cosa che qui sarebbe difficile succeda (ricordiamoci sempre di Arizona Sunshine)!

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