The Last of Us Parte 1 | la recensione | PS5

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Giocato su Playstation 5

Esistono videogiochi che trascendono il medium, e che entrano a far parte dell’immaginario collettivo esattamente come tutti gli elementi più pop che lo compongono. Esistono poi videogiochi – pochi – che fanno questo, e che aprono anche la strada a una nuova generazione di videogiocatori e videogiocatrici; che riescono a far scoprire la bellezza che può nascondersi dietro all’opera videoludica, e che riscrivono fondamentalmente da zero il linguaggio su cui nascono. The Last of Us, su Playstation 3, è stato questo; e lo è stato anche su Playstation 4, con la sua remastered in alta risoluzione, e a un framerate più consono per il suo tempo. Sony punta a farlo diventare sostanzialmente immortale con un remake, questa volta su Playstation 5, che va a mantenere intatto il contenuto, ma aggiorna il comparto tecnico per la seconda volta, facendoci riscoprire un grande capolavoro della storia del videogioco.

L’introduzione che ho appena fatto non è un’esagerazione: The Last of Us è uno dei tasselli più importanti della storia del medium: forse il più importante del videogame narrativo contemporaneo, tanto che chi ama il videogioco, o gli si vuole semplicemente approcciare, deve necessariamente passare da qui. Il perché è semplicissimo: il gameplay di The Last of Us è immediato ma soddisfacente, la sua struttura ludica è un compendio del videogioco moderno in tutte le sue sfumature, il ritmo è ineccepibile, e la sceneggiatura è una delle più belle del racconto moderno. Ci sarebbero altri centinaia di motivi per lodare l’incredibile lavoro svolto da Naughty Dog e Neil Druckmann al tramonto della settima generazione di console, e non sarebbero mai abbastanza.

The Last of Us diede uno scossone enorme all’industria, ribadendo – specialmente – che il videogioco può essere un mezzo per raccontare storie efficace quanto cinema e letteratura, e che basta una penna intelligente a far innamorare milioni di persone del racconto più scemplice del mondo. La storia di un padre disilluso, che rivede in una giovane ragazza la figlia scomparsa, e che è disposto a tutto pur di difenderla, è una tesi straordinaria sul valore che ognuno di noi da agli affetti personali, sul filo sottile che divide bene e male, e sulla violenza che permea – inconsapevolmente o meno – l’essere umano. Quest’ultima è, in fin dei conti, la chiave di lettura non solo di The Last of Us, ma, soprattutto, di questo suo remake.

Quando The Last of Us Parte I è stato annunciato, in molti hanno storto il naso. La remastered dell’opera originale era già arrivata su PS4, in compatibilità con PS5, in una forma smagliante. Su Playstation 4 il gioco girava a 1080 a sessanta fotogrammi al secondo, su Playstation 5 si muoveva in maniera dinamica tra i due e i 4K, mantenendo il medesimo framerate. Possibile, quindi, che ci fosse davvero la necessita dell’ennesima rivisitazione tecnica su Playstation 5, mantenendo il comportamento tecnico della remastered, ma andando a rivedere modelli poligonali, illuminazione e texture? Questa, la grande domanda della community, che ha visto anche nel prezzo spropositato richiesto per accedere al prodotto, un piccolo schiaffo agli utenti Playstation.

Partiamo quindi dalle differenze: cosa cambia in The Last of Us Parte I? A livello di contenuti quasi niente: il gioco è quello, meraviglioso ed emozionante come lo ricordiamo, con tanto del DLC Left Behind, che va a raccontare la storia di Ellie prima dell’incontro con Joel. Sul fronte tecnico, invece, la differenza è importante.

The Last of Us Parte I è sostanzialmente l’aggiornamento tecnico a The Last of Us Parte II che abbiamo visto a fine ciclo di Playstation 4. Dunque, rispetto alla riedizione del primo capitolo sulla scorsa generazione, abbiamo qui un impatto estremamente più realistico sui modelli dei personaggi, delle ambientazioni decisamente più profonde e credibili, un’illuminazione da mascella spalancata. Insomma, tutto quello che ha reso grande dal punto di vista tecnico The Last of Us Parte II lo ritroviamo in questo remake sulla prima metà di quella grande storia, con in più – esattamente come il titolo gemello – la possibilità di giocare a sessanta fotogrammi al secondo, attraverso una risoluzione dinamica esattamente identica a quella della remastered.

Diciamolo subito: The Last of Us Parte I è uno spettacolo. L’immagine va a perdere quella patina digitale e un po’ irrealistica figlia di Playstation 3, in favore di una pasta cinematografica più interessante, che restituisce una nuova dignità all’immaginario di Naughty Dog. Le emozioni sui volti di Joel, Ellie e gli altri comprimari sono adesso più percettibili; composti da micro movimenti e comportamenti delle animazioni che rendono spaventosamente reali azioni e reazioni dei personaggi in gioco. Il lighting, sebbene un po’ distante dallo spirito dell’opera originale, è ora più opprimente, più vicino alle fondamenta del racconto. È tutto così bello che rivivere The Last of Us attraverso questo remake è quasi come giocarlo per la prima volta, e Dio solo sa quanto è stato importante il nostro primo passaggio sul prodotto di Sony.

Eppure, da un’operazione del genere, ci si aspettava forse qualcosa di più. Visivamente The Last of Us Parte I è sì splendido, ma non è niente che non si fosse già visto su Playstation 4 con il secondo capitolo, e forse qualcosa in meno. La base rimane quella di un prodotto di due gen fa, e nonostante siano state riscritte anche alcune animazioni, la matrice extra generazionale risulta ancora evidente. Curioso poi, il fatto che il gioco non giri in 4K a sessanta fotogrammi granitici, e che scenderà a quaranta dichiarati – ma meno percepiti – se decideremo di mantenere la risoluzione ancorata a quest’ultima. Potremo decidere, come ho fatto io, di giocare al framerate che sta definendo questa generazione, accettando però una risoluzione dinamica che non si vergogna di mostrare un po’ di aliasing sugli elementi più distanti, e qualche sporcatura nelle sezioni a mondo aperto. Insomma, un risultato importante e meraviglioso, ma che non spinge al cento per cento l’hardware di Playstation 5.

Su carta, il remake del classico per Playstation 3 dovrebbe avere anche un gameplay più morbido e vicino al secondo capitolo, oltre che un’intelligenza artificiale dei companion più sviluppata. Vi dico la verità: i movimenti dei personaggi e l’interazione con l’ambiente sono sì leggermente più moderni, ma non abbastanza da esser percepiti profondamente rispetto all’antesignano. L’IA, poi, cambia davvero poco, e si limita a tenere scoperti i nostri compagni in meno occasioni quando i nemici ci stanno cercando, limitando la sospensione dell’incredulità che si veniva a creare in alcune situazioni dell’originale. Anche l’utilizzo del DualSense è ridotto al minimo, con la solita resistenza dei grilletti sulle fasi di shooting e di cura, e nulla più.

Un’aggiunta, che invece interesserà una percentuale davvero piccola dell’utenza, è la modalità speedrun, che permette ai giocatori di tenere traccia dei propri tempi nel completamento dell’avventura. Probabilmente non il gioco che necessitava in modo più insistente una modalità di questo tipo, così come gli altri modificatori extra – sbloccabili una volta finito il gioco – insieme a bozzetti, skin e dietro le quinte esclusivi.

Paradossalmente, l’aggiunta più importante di questo remake riguarda un’elemento spesso troppo sottovalutato: l’accessibilità. In The Last of Us Parte I troviamo più di sessanta opzioni legate alle necessità di non udenti, non vedenti, e altre persone con disabilità, che avrebbero trovato un muro insormontabile nel portare a compimento l’opera originale. Così come per tutte le grandi opere d’arte della storia, chiunque deve avere il diritto di poter fruire di queste ultime, e The Last of Us Parte I fa questa cosa meglio della maggior parte dei suoi colleghi sul mercato.

Vi ho anticipato in apertura un elemento che rende davvero grande questo remake, ma di cui non ho parlato approfonditamente fino ad ora, poiché credo sia un po’ la sintesi di The Last of Us Parte I: la rappresentazione della violenza. Nell’opera originale è sempre esistita una grande frizione tra quello che veniva raccontato nel gioco, e quello che era spinto a fare il giocatore. Mi spiego meglio: sul fronte narrativo, The Last of Us è un videogioco che parla – anche e soprattutto – di violenza, ma a livello di meccaniche di gioco siamo costretti a usare la stessa, senza avvertire un significato altro delle nostre azioni. In The Last of Us Parte II questo elemento migliorava insistentemente, facendoci sentire il dolore dei personaggi che andavamo a eliminare, anche durante le fasi in cui uccidere un nemico equivaleva parzialmente al divertimento dell’utente. Oltre all’uso straordinario dei dialoghi dinamici in game, The Last of Us Parte II è riuscito a fare anche questa specifica cosa, soprattutto grazie all’avanzamento tecnologico. Va da sé che The Last of Us Parte I, offrendo un comparto tecnico più realistico e immersivo, riflette paradossalmente meglio il discorso sulla violenza anche attraverso il suo gameplay

Sembra una cosa da poco, ma sentire il dolore dell’avversario, al contrario di quanto succede (giustamente) in altri videogiochi, rende più spiacevole – eppure necessario – l’omicidio delle forze nemiche. Questo rafforza il discorso e assottiglia ancora di più la distanza tra giocatore e personaggio, rendendo – di fatto – The Last of Us Parte I la miglior versione di The Last of Us che esista a oggi

Come si valuta un prodotto che è la miglior versione di uno dei più grandi capolavori della storia del videogioco, ma che viene venduto a ottanta euro, dopo tre generazioni, e dopo soli otto anni di distanza dall’ultima rivisitazione? Se decidiamo di trattare il videogioco come opera, The Last of Us Parte I è oggettivamente un titolo da dieci: una pietra miliare migliorata e più accessibile, che va a sostituire ciò che è venuto prima con grazia e sensibilità. Se decidiamo invece di trattare il videogioco come un prodotto, The Last of Us Parte I è un’operazione esclusivamente commerciale, che è stata messa in piedi per lanciare l’omonima serie di HBO e per colmare le esclusive di PS5. Inutile dire che chi non ha mai giocato The Last of Us è obbligato a recuperare con questo remake, e chi ha saltato la remastered per Playstation 4 ha dei buonissimi motivi per tornare a viverlo. Chi invece, come me, ha giocato innumerevoli volte sia una che l’altra versione, deve immaginarsi The Last of Us Parte I come una proiezione in IMAX del suo film preferito, già visto decine e decine di volte, a un prezzo decisamente altino, ma che oggi è davvero più bello che mai. 

 

The Last of Us Parte I è disponibile dal 2 Settembre 2022 al prezzo di 79,99€ su Playstation 5

 




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