The Last of Us Parte 1 | la recensione | PC

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Provato su PC

A dieci anni dalla sua uscita su Playstation 3 finalmente anche i videogiocatori PC hanno potuto mettere le mani su The Last of Us – o meglio sul suo remake denominato Parte 1, sviluppato per portare il titolo allo stesso livello grafico del sequel e per sfruttare la potenza hardware di Playstation 5.

Il lancio della versione Windows, avvenuto ormai quattro mesi fa, è stato, a voler essere generosi, un disastro. Ma, dopo innumerevoli patch e comunicati penitenti da parte di Naughty Dog, dopo migliaia di feroci recensioni negative su steam e centinaia di video compilation sui social dedicate unicamente a evidenziarne i bug… The Last of Us Parte 1, su PC, com’è?

Giochiamo subito a carte scoperte. The Last of Us, a prescindere dalla versione – l’originale, il remaster, il remake – è un capolavoro. A patto che lo giochiate su Playstation. La 3, la 4, la 5, non importa. Su PC è lo stesso un capolavoro, ma la fatica che molti di voi faranno – o hanno già fatto – per farlo funzionare a dovere, unita alla costante attesa del prossimo bug, del prossimo crash, della prossima area che si rifiuta di girare a 60 fotogrammi al secondo, rischia di trasformare quella che dovrebbe essere una delle esperienze videoludiche più esaltanti e stimolanti di sempre in una lotta disperata tra uomo e macchina che nulla ha a che vedere con il valore artistico dell’opera.

Facciamo qualche passo indietro. Il mio primo avvio di The Last of Us Parte 1 è avvenuto su una macchina con qualche annetto sulle spalle: un’accoppiata Ryzen 5 3600 e RTX 2070 che normalmente mi permetteva di giocare qualsiasi titolo in qualità alta in full hd, ma che nel caso di Parte 1 si è rivelata essere al di sotto addirittura dei requisiti minimi. Questo mi ha portato a pensare tre cose: 1 – Sony ha deciso di lanciare sul mercato un titolo eccessivamente esigente in termini di hardware; 2 – non è il caso di recensire il gioco, almeno per il momento; 3 – è arrivata l’ora di aggiornare la configurazione.

Nelle settimane successive ho montato un Ryzen 7 5800X 3D e una RTX 4070 e ho ritentato la sorte, salvo scoprire che, fondamentalmente, non era cambiato nulla.

Il gioco girava ancora a un framerate troppo variabile, era comparso uno screen tearing fastidiosissimo e impossibile da eliminare, anche con il v-sync, molti effetti apparivano bucati o mal renderizzati e l’utilizzo della GPU risultava pericolosamente vicino al massimo (quasi 12 GB di VRAM per giocare a 1080p?). Non era ancora il momento di recensire. Se devo rigiocare The Last of Us, voglio farlo nelle condizioni migliori.

Quasi quattro mesi dopo l’uscita, e dopo l’ennesima patch che prometteva di migliorare la situazione, ho deciso di riprovarci. Lo screen tearing era sparito. Il framerate sembrava stabile a 60 fps. L’utilizzo dichiarato della GPU era sceso considerevolmente. 

Mi sono presto abbandonato a the Last of Us

Mi sono goduto lo stupefacente aggiornamento grafico, che arricchisce l’impatto visivo di un gioco che già su Playstation 3 era in grado di evocare un senso di meraviglia e angoscia grazie a una direzione della fotografia eccezionale. 

Mi sono perso in case, alberghi e villaggi, scoprendo nuove aree e nuovi dettagli talmente ben integrati da lasciarmi il dubbio che fossero sempre stati lì. Mi sono lasciato coinvolgere dalle commoventi performance di Troy Baker e Ashley Johnson e dalla regia minimale e millimetrica di Neil Druckmann, ora rese ancora più incisive dai nuovi character model e al nuovo sistema di illuminazione.

E, soprattutto, sono tornato ad apprezzare la scrittura dello stesso Druckmann. Pur amando alla follia la svolta naturalistica dei dialoghi di Parte 2, ho riscoperto con gioia quanto la sceneggiatura di Parte 1 – più stilizzata e più diretta – sia straordinariamente efficiente – e al tempo stesso delicata – nel delineare il percorso emotivo dei personaggi, nel giustificare le loro scelte come parte di un percorso unitario, nel tratteggiare i caratteri con una manciata di battute e dettagli e, sopra a ogni altra cosa, nella gestione del ritmo. 

Reduce da God of War Ragnarok e Jedi Survivor, entrambi piagati da una struttura narrativa da ergastolo, mi sono quasi commosso nel ricordare quanto Druckmann e soci si fossero impegnati per far sì che ogni singola sequenza di The Last of Us risultasse indispensabile non solo a portare avanti la trama e a sottolineare i beat emotivi, ma anche a costruire un’esperienza videoludica dinamica e mai noiosa, in cui ogni scontro, ogni fase di esplorazione, ogni cutscene, ogni capitolo durano esattamente il giusto, senza mai indugiare troppo su momenti superflui e senza mai lasciare che la ripetitività del gameplay prenda il sopravvento sulla narrazione.

È vero, come hanno già detto in molti, che The Last of Us procede su due binari paralleli: da una parte c’è il gioco – con un gameplay non rivoluzionario, ma ben congegnato; e dall’altra c’è, sostanzialmente, un film. A differenza del secondo capitolo, che trasforma le azioni di gioco in un potentissimo strumento di storytelling, Parte 1 rimane un’esperienza divisa tra cinema e videogame che non offre troppe occasioni per riflettere su come i due mondi possono convivere e comunicare. 

Ma il livello generale di scrittura, regia, recitazione, motion capture e level design è talmente alto che – personalmente – posso serenamente passare oltre il fatto che non si tratti di un prodotto che riscrive le regole del gaming. The Last of Us Parte 1, specialmente con la sua veste grafica migliorata e con i suoi piccoli ritocchi al gameplay, è un gioco praticamente perfetto. In sostanza, se volete una valutazione numerica sul gioco nella sua versione migliore, fa fede la recensione di Alessandro che trovate su questo canale. Un bel 10 pieno.

La versione che recensisco qui, purtroppo, non è da 10. Anche dopo 4 mesi, in The Last of Us Parte 1 i bug e i problemi di performance sono sempre in agguato. 

Metà delle volte in cui ho affrontato il frequente puzzle che richiede di spostare una piattaforma galleggiante, la piattaforma si è incastrata su un altro oggetto e il gioco si è completamente piantato. Più di una volta, all’avvio, l’applicazione si è chiusa tornando direttamente al desktop. Ogni volta che è stata rilasciata una nuova patch ho dovuto attendere tempi variabili – dai 10 ai 40 minuti – per permettere che gli shader venissero ricompilati. Intere aree – come quella delle fogne durante la sequenza dedicata a Henry e Sam – giravano a 40 frame al secondo senza motivo apparente. La risoluzione dichiarata di 1080p risultava poco definita e nebbiosa, ed è stato necessario scalarla al 160% per ottenere qualcosa che assomigliasse al full hd. 

Negli ultimi mesi ci è capitato di recensire diversi porting per Windows di esclusive Playstation. A eccezione di Spiderman Miles Morales, tutti gli altri titoli hanno presentato molti degli stessi problemi di The Last of Us. Returnal, Sackboy, Uncharted sono approdati su PC con problemi di performance e requisiti minimi eccessivi, che non fanno altro che escludere a priori una grossa fetta di pubblico. 

E il gaming su computer in generale non si è dimostrato troppo in salute, sul versante dei tripla A o dei quasi-tripla-A. 

Da una parte è un problema che si risolve coi soldi – ho parlato con possessori di RTX 4090 che dichiarano con nonchalance che The Last of Us era perfetto anche al lancio, senza rendersi conto che così facendo stanno sostanzialmente scavalcando la barricata per allearsi con aziende che vogliono il nostro denaro in cambio di prodotti malfunzionanti. Un computer da 5000 euro non è certo la piattaforma ideale per fruire di un gioco che girava perfettamente su una console da 500. 

Dall’altra è una questione di cieca fortuna. Con la mia vecchia configurazione ho giocato Cyberpunk 2077 al lancio senza mai riscontrare problemi. Come mai? Chi lo sa. Questo non cancella i problemi che il titolo di CD Projekt Red si è portato dietro su altre configurazioni. E di certo non giustifica il mancato impegno da parte di aziende multimiliardarie nell’offrire ai propri clienti prodotti che non richiedono configurazioni fantascientifiche – o botte di culo – per funzionare.

È difficile dare un voto, arrivati a questo punto. Da una parte siamo davanti a uno dei giochi più importanti degli ultimi dieci anni, un capolavoro che trascende i generi e i media, portatore di un immaginario talmente potente che è riuscito a sfondare la barriera del mainstream grazie al suo adattamento televisivo, un esempio talmente cristallino del talento del suo autore e del suo team di sviluppo che rimane ancora oggi il punto di riferimento principale per la narrativa tradizionale nel gaming. 

Dall’altra, per giocare a questa versione PC in condizioni anche solo vagamente accettabili, ho dovuto attendere letteralmente mesi e sopportare comunque una dose estremamente fastidiosa di inconvenienti tecnici.

Il gioco, in sé, merita un 10. Lo merita per la scrittura, per  la regia, per la tensione generata dal gameplay, la recitazione, il design degli ambienti. Lo merita per i suoi momenti orrorifici e per quelli più commoventi. La versione PC, invece, fa di tutto per ostacolare il giocatore nella fruizione di un capolavoro, e si merita un Non Classificato. La media tra zero e dieci qual è?

 




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