Intervista esclusiva a Digital Happiness, sviluppatori di Dreadeye VR

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Abbiamo intervistato in esclusiva Rachmad Imron: CEO di Digital Happiness, papà della saga di Dreadout e del nuovo arrivato Dreadeye VR. Si parla dunque di produzioni indipendenti, horror e chiaramente realtà virtuale con chi da anni cerca di imporsi nel mercato videoludico con una piccola realtà che è riuscita ad ottenere più di ciò che sperava.
Se non l’avete ancora letta, QUI la review di Dreadeye VR, primo titolo per realtà virtuale sviluppato dal team.

Innanzitutto benvenuti sulle pagine di VR ITALIA, è un grande piacere avere l’occasione di scambiare due parole con i creatori della saga di Dreadout, una saga che è riuscita a farsi strada dal nulla conquistandosi una larga schiera di appassionati nonostante la situazione sfavorevole del mercato indonesiano.

Grazie per le belle parole! E’ veramente fantastico che i risultati raggiunti dal nostro piccolo studio siano stati apprezzato da giocatori provenienti da tutto il mondo, nonostante le grosse produzioni nel genere siano moltissime.

Innanzitutto, una curiosità: com’è la situazione videogiochi in Indonesia? Come sono visti mediamente dalla massa?

Grazie alla numerosa popolazione del paese, l’Indonesia è senza dubbio uno dei target centrali degli studi di sviluppo stranieri; stando al nostro ministero delle comunicazioni il medium ha incassato 465 milioni solo nel nostro paese nel corso del 2017. Sfortunatamente però solo il 3% dei suddetti introiti è entrato nelle tasche degli sviluppatori locali. Inoltre la pirateria fa ancora grossi danni; anche molti dei nostri fan indonesiani scaricano i nostri giochi senza rendersi conto di quanto questo sia un problema. Molti degli sviluppatori indonesiani sviluppano inoltre solamente giochi mobile piuttosto che dedicarsi a produzioni più importanti su PC. Se parliamo invece di console per noi è davvero impossibile, nessuno qui in Indonesia ci manda i kit di sviluppo, né Sony, né Microsoft e nemmeno Nintendo. La situazione è abbastanza sconcertante, se devo dirti la verità.

Com’è nata quindi l’idea di dar vita ad una software house e come è nato di conseguenza il progetto Dreadout?

Diciamo che realizzare videogiochi è sempre stato il nostro sogno. Nel 2013 abbiamo visto la possibilità di approcciare il medium sia grazie ai costi di sviluppo su Unity, che grazie all’apertura di steam nei confronti degli sviluppatori indipendenti, per non parlare delle piattaforme di crowdfunding. Quindi con tutto il necessario e sorretti da un discreto ecosistema, ci siamo fatti coraggio e abbiamo iniziato a lavorare su DreadOut, finanziandolo su Indiegogo, sviluppandolo con Unity e passando da Steam Greenlight.

Vi aspettavate il successo che avete riscontrato con il primo capitolo della saga?

La speranza che il gioco diventasse un successo c’è sempre stata, ma non gli abbiamo mai dato troppa importanza. Volevamo semplicemente dar vita ad un buon titolo, pubblicando DreadOut al meglio delle nostre capacità. Abbiamo approcciato il medium con grande umiltà, con Dreadout abbiamo avuto la possibilità di lavorare su un qualcosa che amavamo e continuiamo ad amare, di conseguenza a noi basta continuare su questa strada.

Da cosa nasce invece l’interesse per la VR? E com’è nata l’idea di Dreadout VR?

Siamo sempre stati affascinati dalla VR. In realtà DreaEye VR nasce come ricerca part-time mentre stavamo ancora sviluppando il primo DreadOut. Pensa che ci sono decine di prototipi del gioco che nel corso degli anni abbiamo abbandonato o riscritto, anche perché la nostra forza lavoro era completamente dedita ai capitoli convenzionali della saga. Nel 2017 tuttavia, ci siamo resi conto che DreadEye era sopravvissuto a tutto ciò che era successo nel tempo all’interno dell’azienda. Dunque dopo diverse considerazioni legate al budget e alle dimensioni del team, DreadEye era diventato la scelta più saggia su cui investire in quello specifico periodo, divenendo ufficialmente uno dei nostri titoli in sviluppo e iniziando a lavorare con Unreal Engine. Dopo circa cinque mesi di sviluppo, portati avanti da quattro dei nostri sviluppatori, è nato DreadEye come lo conosciamo oggi.

Nessuno ad oggi è ancora riuscito a farsi un’idea chiara sulla realtà virtuale, alcuni dicono che sia il futuro, altri che è una tecnologia nata morta. Voi cosa ne pensate?

E’ proprio come dici tu, con l’indecisione che permea questo mercato non possiamo dedicarci alla VR a tempo pieno. Tuttavia da questa esperienza abbiamo imparato molto, la realtà virtuale è una tecnologia magnifica che potrebbe rivelarsi centrale nelle nostre produzioni future, ma tutto dipende chiaramente dalle condizioni del mercato e da come il pubblico reagirà al nostro gioco.

Avete intenzione di continuare sulla strada della realtà virtuale o Dreadeye VR è stato un progetto parallelo?

Per ora è stato semplicemente un progetto parallelo, uno spin-off atto a confrontarci con il mezzo. Attualmente stiamo tornando alle origini con un capitolo convenzionale della saga che non farà uso della realtà virtuale.

Immagino che l’horror faccia parte delle vostre passioni, quali sono stati i vostri principali riferimenti e le vostre fonti di ispirazione? Cosa vi piace?

Spaventarci a vicenda in ufficio ogni sera! Scherzo, in realtà moltissimi film indonesiani degli anni ottanta sono stati la più grande fonte di ispirazione. Poi chiaramente tanti horror giapponesi da The Grudge, a The Ring a Dark Water; essendo prodotti asiatici ci rivediamo molto in quel modo di raccontare la paura. Chiaramente poi ci siamo ispirati a molti classici dell’horror videoludico come Silent Hill, Project Zero, Rule of Rose e molti altri.

Quali sono i vostri prossimi progetti?

Per ora siamo orientati verso una nuova avventura ambientata nell’universo di Dreadout, vogliamo dare un seguito alla vicende di Linda narrate nel primo capitolo, ma non si sa mai. Dita incrociate!

Grazie per le risposte e in bocca al lupo per i vostri prossimi progetti, aspettiamo con grande entusiasmo il nuovo capitolo di Dreadout e, perché no, un nuovo progetto per VR!

 




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