Le persone che fanno parte dello spettro LGBTQI+ faticano fortemente a ottenere un bambino in adozione; tuttalpiù se non binarie e trans. Kindred, di Bambou Kenneth, racconta della prima adozione – avvenuta qualche anno fa in UK – di un bambino senza genitori, a una persona non binaria.
Il racconto ci viene esposto dalla voce fuori campo dellə protagonista di questa storia, attraverso un piccolo viaggio doloroso, e infine pieno di speranza, che l’ha portatə all’adozione. Poche scene, ancora meno inquadrature, per un passo importante della storia contemporanea, raccontato però senza sfruttare mai davvero il linguaggio della realtà virtuale.
Non c’è interazione, il punto di vista è molto tradizionalista e, soprattutto, i momenti più toccanti e interessanti della storia sono raccontati attraverso immagini di repertorio flat. Viene quindi da chiedersi: perché utilizzare la realtà virtuale per raccontare una storia che – per come è messa in scena – non necessitava di un punto di vista interno? Forse per essere tra lə primə a portare una tematica importante e contemporanea in un contesto XR? O, forse, per provare a rendere più vicini i sentimenti dellə protagonistə attraverso un punto di vista immersivo? Il risultato, in ogni caso, e con tutta l’importanza che hanno le tematiche gender, non convince.
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