Stranger Things “arriva” a Treviso non come semplice contenuto da guardare, ma come esperienza VR da vivere in gruppo, dentro una venue pensata per farvi entrare e giocare subito, senza il classico setup domestico, e soprattutto senza l’idea della VR come esperienza solitaria.
Sandbox VR, leader internazionale della location-based VR, ha scelto Treviso per il suo debutto italiano, e la cosa interessante è che non si tratta della “solita sala giochi con qualche visore”: parliamo del primo tassello di un progetto che gli imprenditori Vito Scavo e Alessandro Bergamo vogliono portare sul territorio nazionale tramite Immexia Srl, con un piano dichiarato che punta fino a 40 sedi in Italia e un investimento complessivo nell’ordine dei 60 milioni di euro (di cui 1,5 milioni solo per l’apertura di Treviso).
La sede è in Viale della Repubblica 236, e già solo questa scelta “fuori dalle solite città ovvie” dice molto: l’obiettivo è portare un format internazionale nel quotidiano, renderlo accessibile, farlo diventare un’abitudine.
Siamo stati invitati al party inaugurale di venerdì 12 dicembre; al mattino c’è stata la conferenza stampa, con la presenza delle istituzioni locali — Alessandro Manera (Vicesindaco di Treviso), Davide Acampora (Consigliere Provinciale e Comunale), Antonio Dotto (Presidente del Consiglio Comunale) e Lisa Martelli (Assessore alla Cultura di Villorba) — e con gli interventi degli stessi Scavo e Bergamo, che hanno sottolineato quanto il territorio fosse pronto a una forma di intrattenimento diversa, più “fisica” e più sociale.
La sera, l’evento si è trasformato nel Grand Opening vero e proprio dove almeno un centinaio di persone hanno riempito gli spazi tra musica, curiosità e voglia di provare. A fare da cornice anche il DJ set di Gloria Fregonese, ma il punto non era l’intrattenimento “di contorno”: il vero richiamo era mettere le mani (e il corpo) su una VR pensata per il pubblico POP, quella a cui non devi spiegare per mezz’ora prima di farla funzionare.
La struttura, nell’impostazione, è esattamente ciò che ti aspetti da un brand che vuole essere premium: ambiente curato, comfort, area lounge/ristoro con divanetti e schermi per rivedere gli highlight di quello che hai appena giocato (ed è una cosa che in gruppo funziona tantissimo, perché allunga l’esperienza oltre la singola “partita”). La venue di Treviso dispone di 4 sale, e l’organizzazione è pensata per gestire fino a 24 giocatori contemporaneamente, perché ogni esperienza supporta da 2 a 6 persone. E sì, in mezzo a questo c’è anche una chicca molto “Instagrammabile”: due braccia robotiche che, nelle intenzioni, saranno presto dedicate alla preparazione automatizzata di cocktail — dettaglio scenografico, ma coerente con l’idea di venue come “posto dove passare la serata”, non solo una stanza dove si fanno 20 minuti e si va via.
Sul fronte contenuti, Sandbox VR è diventata famosa anche fuori dalla bolla VR soprattutto per le collaborazioni con Netflix: Squid Game è l’esempio perfetto di IP trasformata in esperienza che in gruppo funziona sempre. Ma la notizia che qui, ovviamente, attira l’attenzione di chi mastica pop-culture è l’arrivo dell’esperienza a tema Stranger Things, impostata come avventura soft-horror, con l’idea di portarvi dentro un immaginario conosciuto e finalmente esplorabile in modo attivo e non passivo.
L’evento che ci ha tenuto impegnati per quasi tutta la giornata del 12 dicembre ci ha visto, dopo il briefing iniziale e la visita della struttura, subito protagonisti nelle esperienze tra le più interessanti.
Ogni sala è composta da diverse unità computazionali dotate di RTX 3080 Ti per la parte puramente grafica, mentre la CPU si trovava in un’altra stanza: probabilmente una sorta di “regia” tecnica dedicata alla sincronizzazione dei giocatori, allo streaming e alla gestione del posizionamento, anche perché ogni sala era dotata di più di una decina di Lighthouse.
Infatti, nonostante i visori siano dei VIVE Focus 3 (che di base potrebbero tracciare controller e movimento senza base station), nel multiplayer locale serve un tracking molto più preciso e stabile, quindi si ricorre alla soluzione “alla vecchia maniera” tramite Lighthouse. Inoltre non vengono usati i classici controller del Focus 3: i giocatori indossano tracker su polsi e caviglie per tracciare gli arti e, per quanto riguarda le armi, ci sono controller dedicati a seconda che si impugni un fucile, una pistola o un’arma melee.
A corredo sono presenti anche delle tute aptiche, molto simili come concetto alle bHaptics, ma con tutta probabilità si tratta di modelli custom e non di prodotti commerciali standard.
Ci è stato spiegato inoltre che i computer devono essere necessariamente connessi alla rete: non è chiarissimo se per una questione di licenze oppure per la gestione del multiplayer tramite server non presenti in locale. Forse la scelta dei visori non è la più adatta per gusto personale, le lenti fresnel presenti sui visori VIVE sono da anni superate, ma sappiamo che Vive è l’unica azienda a proporre pacchetti turn-key per esperienze vr in LB (Location Based). Trovate qui la recensione del visore di VIVE.
Nel tempo a disposizione abbiamo avuto modo di provare solamente 3 esperienze.
Siamo quindi partiti da Stranger Things VR: Catalyst, essendo appunto la novità del momento. In questo caso abbiamo subito apprezzato la fisicità del controller/tool a nostra disposizione, che solitamente viene usato per gli attacchi melee, ma in questo caso il nostro strumento di combattimento servirà per raccogliere oggetti, un po’ come una gravity gun, e scagliarli contro i nemici, mentre la mano sinistra servirà a fare danno e a respingere gli avversari con la gesture del palmo della mano.
Dal punto di vista narrativo si vestono i panni di alcuni soggetti di prova nei laboratori di Hawkins, coinvolti in un esperimento che sfugge rapidamente di mano e apre un contatto diretto con il Sottosopra. Da lì in poi l’esperienza diventa una corsa alla sopravvivenza, tra ambienti sempre più ostili e situazioni che richiedono collaborazione costante. Rimane comunque un’esperienza di tipo wave shooter: certo, l’ambientazione si trasforma attorno a noi, ma banalmente affronteremo ondate continue di nemici.
Durante il percorso si visitano ambientazioni iconiche, come la Rainbow Room, affiancate da altre location immediatamente riconoscibili per chi conosce la serie. Non manca ovviamente il confronto con le creature più famose di Stranger Things, tra Demobats, Demodogs e Demogorgons, affrontate usando poteri telecinetici, oggetti improvvisati e armi di fortuna. Presente anche la voce di Matthew Modine nei panni del Dr. Brenner, un dettaglio che aggiunge ulteriore peso narrativo e rafforza il legame con la serie originale.
Dal punto di vista tecnico non è probabilmente l’esperienza più “spacca mascella” del catalogo, vista anche l’ambientazione chiusa da laboratorio. Interessante però la boss fight finale, che introduce una componente di movimento più marcata.
Bisogna inoltre scendere a compromessi pensati per un pubblico più ampio: l’uso di visori wireless porta con sé alcune criticità, come una leggera compressione visibile nelle scene più concitate, qualche lag e piccole sporcature. Difetti che non sarebbero presenti con la versione Sandbox VR di prima generazione, basata su zainetti PC e visori cablati (i.e. Reverb G2), ma è chiaro che quel modello risultava probabilmente troppo faticoso per il grande pubblico. Per questo motivo, non siate troppo critici quando vi capiterà di provarla.
In definitiva, Stranger Things: Catalyst, che vi ricordo essere un’esclusiva Sandbox VR, è pensato per stupire, coinvolgere e far vivere Stranger Things con il corpo e con il visore. Non ha l’ambizione di essere un gioco profondo o particolarmente rigiocabile, ma resta sicuramente un must per gli appassionati della serie e della realtà virtuale.
Passiamo a Seeker of the Shard: Dragonfire, che è una delle esperienze più “classiche” e riconoscibili del catalogo Sandbox VR, nonché quella rimasta più a lungo sui cartelloni e nelle copertine prima dell’arrivo delle pesanti esclusive Netflix. È l’unica esperienza a immaginario fantasy, chiaramente ispirata a Dungeons & Dragons, con draghi, magia e combattimenti corpo a corpo al centro dell’azione.
L’esperienza è pensata come un’avventura cooperativa per gruppi, in cui i giocatori assumono il ruolo di eroi fantasy chiamati a recuperare un antico artefatto legato al potere del drago Dragonfire. È possibile scegliere tra cavalieri di ghiaccio, cavalieri di fuoco o balestrieri. La struttura narrativa è molto semplice: non punta a raccontare una vera storia, ma fornisce un pretesto per spingere il gruppo ad avanzare, collaborare e sopravvivere.
Dal punto di vista del gameplay, Seeker of the Shard è probabilmente l’esperienza Sandbox VR più orientata al combattimento melee. Spade, scudi e armi magiche vengono impugnati fisicamente, sfruttando al massimo il full-body tracking e la presenza reale nello spazio. Ritornano tool simili a quelli visti in Stranger Things per quanto riguarda spade e asce.
Qui la fisicità è centrale: si para, si colpisce, ci si sposta continuamente per evitare attacchi e proteggere i compagni. È un’esperienza che funziona molto bene proprio perché immediata e istintiva, soprattutto per chi prova la VR per la prima volta. Mi viene da pensare che, essendo una delle prime esperienze del catalogo, sia stata tarata su una metratura inferiore rispetto a quella vista in Stranger Things, limitando in parte il movimento room-scale.
Il ritmo è quello di un action wave-based, con ondate di nemici che arrivano da più direzioni, costringendo il gruppo a coordinarsi. Non c’è una particolare profondità tattica, ma il divertimento nasce dalla caoticità controllata dello scontro e dalla sensazione di essere davvero all’interno di un dungeon fantasy. Il momento culminante è ovviamente lo scontro con il drago, una boss fight spettacolare che sfrutta dimensioni, movimento e presenza fisica per lasciare il classico “effetto wow”, soprattutto su chi non è abituato alla scala della VR room-scale.
Ho provato il balestriere e mi sono divertito tantissimo. Come già detto, qui stiamo parlando di esperienze PCVR che di fatto non esistono più su PC: nessuno realizza produzioni così elaborate per i visori casalinghi, e le esperienze PCVR moderne sono spesso semplici upscale delle versioni stand-alone. Lo dico perché finalmente sono tornato a vedere texture di qualità, mostri con un numero di poligoni coerente con il periodo che stiamo vivendo, ed effetti di luce e particellari degni di nota. Mi sono piaciuti molto anche il design degli ambienti e dei nemici. Ho adorato la balestra per il senso di immersione che mi ha regalato: avere un tool che ricalca da vicino ciò che vediamo in VR fa davvero la differenza.
Pur rimanendo, come detto, all’interno di una struttura wave-based, la varietà proposta è stata piacevole. Mi spiace fare spoiler, ma scene come il dover evitare due enormi asce sospese mentre si avanza su una zattera sono proprio quel tipo di situazione che, almeno per me, fa la differenza e rappresenta ciò che cerco in VR. Seeker of the Shard: Dragonfire è quindi una delle esperienze che mi sento di consigliare a chi prova la realtà virtuale per la prima volta, escludendo le esclusive Netflix già citate in precedenza.
L’ultima esperienza che ho provato, considerando che – come già detto – abbiamo avuto il tempo tecnico di testare solamente tre esperienze, è Curse of Davy Jones, una delle proposte con l’identità più marcata del catalogo, perché abbandona completamente il fantasy classico per buttarsi a capofitto in un immaginario piratesco e avventuroso, chiaramente ispirato ai miti dei pirati maledetti.
Anche in questo caso ci troviamo davanti a un’esperienza cooperativa, costruita per gruppi di giocatori che condividono lo stesso spazio fisico e virtuale. Il contesto narrativo è semplice ma efficace: la vostra ciurma è finita nel mirino della maledizione di Davy Jones, un’entità leggendaria legata alle profondità dell’oceano e a forze sovrannaturali. L’obiettivo non è tanto seguire una storia articolata, quanto sopravvivere, avanzare e spezzare la maledizione affrontando ciò che emerge dagli abissi.
Dal punto di vista del gameplay, Curse of Davy Jones è uno dei titoli Sandbox VR che meglio sfrutta le armi a distanza, affiancandole a un uso più limitato del melee. Pistole, fucili e armi improvvisate diventano centrali, con scontri a fuoco continui contro orde di nemici pirateschi, creature marine e abomini sovrannaturali. Il tutto mantiene una struttura wave-based, molto leggibile e immediata, che privilegia il ritmo e la cooperazione piuttosto che la profondità meccanica.
In questo caso avremo a disposizione due armi: sulla destra una pistola in stile piratesco e sulla sinistra una spada, a eccezione di un membro del gruppo che impugnerà una torcia, necessaria per accendere i cannoni del boss finale e infiammare le spade dei compagni. Se siete giocatori VR esperti sapete bene che questa combinazione è rarissima nei giochi, e farlo qui, con due armi in mano, restituisce quell’effetto wow tipico dei primi anni della realtà virtuale.
Nel corso dell’avventura si passa tra relitti, ponti di navi, porti infestati e fondali marini, con un uso molto riuscito di nebbia, luci e palette cromatiche che restituiscono una costante sensazione di pericolo e mistero. Rispetto ad altre esperienze Sandbox VR, qui l’atmosfera ha un peso maggiore dell’azione pura, riuscendo a creare un buon equilibrio tra tensione e spettacolarità. Ammetto che una sezione più “puzzle” dell’esperienza l’abbiamo trovata un po’ troppo lunga – si sarebbe potuta sostituire con qualcos’altro – ma la boss fight finale contro il Kraken è stata uno dei momenti più memorabili della giornata, complice anche la meccanica di accendere i cannoni con la torcia.
Non posso quindi negare che anche questa terza esperienza mi abbia emozionato, convincendomi del fatto che ci troviamo davanti a un catalogo realizzato da team talentuosi ed esperti nel campo della VR.
Infine parliamo dei costi. È possibile prenotare esclusivamente online tramite la piattaforma, al seguente link: https://sandboxvr.com/treviso/booking/experiences, dove potrete selezionare il numero di giocatori e gli slot disponibili. I prezzi vanno dai 45 ai 55 euro a giocatore, a seconda dell’esperienza scelta e del fatto che si tratti di un giorno feriale o del fine settimana.
L’intera attività vi terrà impegnati per circa un’ora, considerando vestizione, tutorial e visione della clip finale nel salottino apposito. Una piccola digressione personale: in California, più precisamente a Los Angeles, il costo si aggira tra i 50 e i 60 dollari. Sebbene al cambio il valore sia molto simile, credo sia evidente come l’affitto di un capannone e lo stipendio medio di un italiano rispetto a quello di un losangelino siano decisamente diversi.
Al di là della politica dei prezzi tra Italia e America, dal punto di vista qualitativo non ho dubbi. Se siete alle prime armi, sarà un’esperienza fortemente di rottura ed estremamente entusiasmante; se invece possedete già un visore e siete navigati nel mondo della VR, ne varrà comunque la pena, complice l’abbassamento drammatico della qualità dei giochi per visori casalinghi e la quasi totale estinzione delle esperienze room-scale.
Trovate tutti i riferimenti sulle esperienze e sulla location al seguente link. Noi speriamo di tornarci presto per provare anche le esperienze che non abbiamo avuto modo di vedere, così da potervene parlare nuovamente su queste pagine.
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